Scuolanostra
- S. AGOSTINO: UN FURTO DI PERE
- (Confessioni, II, 4-9)
-
- Una
sera d'estate, a Tagaste, Agostino, all'età di quindici anni, e i suoi
amici, stanchi diei soliti giochi, decidono di fare una bravata: rubare
le pere nel campo del vicino. Agostino riflette sull'episodio: si può
compiere il male non solo per il vantaggio materiale che se ne spera di
ricavare, ma anche semplicemente per l'attrazione e il fascino del male
stesso.
-
- Furtum certe punit lex
tua, Domine, et lex scripta in cordibus hominum, quam ne ipsa quidem
delet iniquitas: qui enim fur aequo animo furem patitur ? Nec
copiusus adactum inopia.
- Et ego furtum facere
volui et feci nulla compulsus egestate nisi penuria et fastidium
iustitiae et sagina iniquitatis. Nam id furatus sum quod mihi abundabat
et multo melius, nec ea re volebam frui, quam furtum appetebam, sed
ipso furto et peccato.
- Arbor erat pirus in
vicinia nostrae vineae pomis unusta nec forma nec sapore inlecebrosis.
Ad hac excutiendam atque asportandam nequissimi adulescentuli
perreximus nocte intempesta, quos ludum de pestilentiae more in areis
produxeramus, et abstulimus inde onera ingentia non ad nostra epulas,
sed vel proicienda porcis, etiamsi aliquid inde comedimus, dum tamen
fieret a nobis quod eo liberet, quo non liceret.
- […] Quem fructum habui
miser aliquando in his, quae nunc recolens erubesco, maxime in illo
furto, in quo ipsum furtum amavi, nihil aliud, cum et ipsum esset nihil
et eo ipso ego miserior?
- Et tamen solus id non
fecissem- sic recordor animum tunc meum – solus omnino id non fecissem.
Ergo amavi ibi etiam consortium eorum, cum quibus id feci. Non ergo
nihil aliud quam furtum amavi, immo vero nihil aliud, quoniam et illud
nihil est.
- […] O nimis inimica
amicitia, seductio mentis investigabilis, ex ludo et ioco nocendi
aviditas et alieni damni appetitus nulla lucri mei, nulla ulciscendi
libidine, sed cum dicitur “Eamus, faciamus” et pudet non esse
impudentem.
La tua
legge certamente punisce il furto, o Signore, e questa legge è scritta
nel cuore degli uomini, e non può cancellarla neppure la stessa
malvagità; infatti quale ladro accetta tranquillamente un altro
ladro? Nemmeno se è ricco e l'altro è spinto dal bisogno.
Anch'io volli commettere un furto e lo feci non spinto da alcuna
necessità, se non dal disprezzo del senso di giustizia e
dall'abbondanza di malvagità. Infatti rubai ciò che avevo in abbondanza
e molto migliore; non volevo godere dell'oggetto che cercavo col
furto, ma del furto e del peccato stesso.
Vi era un albero di pero; nelle vicinanze della nostra vigna,
carico di frutti non particolarmente attraenti nè per aspetto nè per
sapore. Noi, ragazzi veramente terribili, andammo a prenderle e a
portarle via in una notte fonda, in cui secondo il nostro pestifero uso
avevamo prolungato i giochi sulle piazze; portammo via un carico
ingente non solo per mangiarle, ma anche per gettarle ai porci, e se
qualcosa ne mangiammo, lo facemmo perchè ci dava tanto più gusto quanto
più era illecito.
Ecco il mio cuore, o Dio, ecco il cuore di cui Tu hai avuto pietà nel
suo abisso più profondo. Ecco il mio cuore ti dirà ora che cosa cercavo
là, cioè di essere cattivo senza alcun motivo se non la malvagità
stessa. Era una cosa brutta, e io l'ho amata; ho amato la mia morte,
ho amato il mio male, non ciò per cui facevo il male, ma la mia
cattiva azione stessa; anima turpe che si allontanava dal tuo sostegno
verso la sua rovina, cercando non qualcosa di brutto, ma la bruttezza
stessa.
(trad. di G. Mosconi)
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- S.AGOSTINO: IL CONFORTO DELL’AMICIZIA (Confessioni,
IV,8, 13)
Alia
erant, quae in eis
amplius capiebant animum, colloqui et corridere et vicissim benevole
obsequi,
simul legere libros dulciloquos, simul nugari et simul honestari,
dissentire
interdum sine odio tamquam ipse homo secum atque ipsa rarissima
dissensione condire
consensiones plurimas, docere aliquid invicem aut discere ab invicem,
desiderare absentes cum molestia, suscipere venientes cum laetitia; his
atque
huiusmodi signis a corde amantium et redamantium procedentibus per os,
per
linguam, per oculos et mille motus gratissimos quasi fomitibus conflare
animos
et ex pluribus unum facere. Hoc est, quod
diligitur in amicis et sic
diligitur, ut rea sibi sit humana conscientia, si non amaverit
redamantem aut
si amantem non redamaverit, nihil quaerens ex eius corpore praeter
indicia
benevolentiae. Hinc ille luctus, si quis moriatur, et tenebrae dolorum
et versa
dulcedine in amaritudinem cor madidum et ex amissa vita morientium mors
viventium. Beatus qui amat te et amicum in te et inimicum propter
te .
Solus enim nullum carum amittit, cui omnes in illo cari sunt, qui non
amittitur. Et quis est iste nisi Deus noster,
qui fecit caelum et terram;et implet ea,
quia implendo ea fecit ea?
Te nemo amittit, nisi qui dimittit, et quia dimittit, quo it aut quo
fugit nisi
a te placido ad te iratum? Nam ubi non invenit legem tuam in poena sua?
Et lex
tua veritas; et Veritas tu .
- ...Ma vi era altro che ancora di più mi teneva
legato ai miei amici: il conversare, il ridere insieme; lo scambio di
reciproche cortesie, la lettura fatta in comune di libri; scherzare fra
di noi e insieme onorarci; dissentire talvolta, ma senza animosità,
come uno fa con se stesso, e anche con queste discussioni, rarissime
del resto, rendere più saporosi i numerosissimi consensi; insegnarci o
imparare a vicenda questo o quello, desiderare gli assenti con
impazienza, accogliere con gioia chi torna: tali e simili
manifestazioni, che sorgono da cuori che amano e che sono amati, nel
viso, nei discorsi, negli occhi, in mille altri segni tutti
graditissimi, sono come fuoco che infiamma le anime e, di molte, ne
forma una sola. Sono queste le cose che si amano negli amici, e si
amano in modo tale che ci si sente colpevoli in coscienza se all’amore
non si risponde sempre con l’amore, senza chiedere all’altro nulla
all’infuori dell’amore. Di qui il lutto quando muore un amico, le
tenebre del dolore, la dolcezza che si trasforma in amarezza, il cuore
gonfio di pianto e il senso di morte che coglie i vivi per la perdita
di chi muore. Beato chi ama te, o Dio, e in te ama l’amico e il
nemico in nome tuo! E’ solo lui, infatti, che non perde mai persona
cara, perché tutti gli sono cari in colui che non si perde mai, cioè
nel nostro Dio, il Dio che ha creato il cielo e la terra e che li
riempie di sé in quanto, appunto, riempiendoli di sé li ha creati.
Nessuno può perdere te se non chi ti abbandona; ma abbandonandoti, dove
andrà, dove fuggirà se non lontano dalla tua bontà per correre verso la
tua collera? E dovunque egli, nella sua pena, si imbatterà nella tua
legge, la tua legge che è verità;e la verità sei Tu.
- (trad. di G. Mosconi)
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