Scuolanostra

Latino classe IV

MARCO TULLIO CICERONE  (Arpino 106- Formia 43 a.C.)
Oratio in Verrem, 1,1

Quod erat optandum maxime, iudices, et quod unum ad invidiam vestri ordinis infamiamque iudiciorum sedandam maxime pertinebat, id non humano consilio, sed prope divinitus datum atque oblatum vobis summo rei publicae tempore videtur. Inveteravit enim iam opinio perniciosa rei publicae, vobisque periculosa, quae non modo apud populum Romanum, sed etiam apud exteras nationes, omnium sermone percrebruit: his iudiciis quae nunc sunt, pecuniosum hominem, quamvis sit nocens, neminem posse damnari. Nunc, in ipso discrimine ordinis iudiciorumque vestrorum, cum sint parati qui contionibus et legibus hanc invidiam senatus inflammare conentur, [reus] in iudicium adductus est [C. Verres], homo vita atque factis omnium iam opinione damnatus, pecuniae magnitudine sua spe et praedicatione absolutus. Huic ego causae, iudices, cum summa voluntate et expectatione populi Romani, actor accessi, non ut augerem invidiam ordinis, sed ut infamiae communi succurrerem. Adduxi enim hominem in quo reconciliare existimationem iudiciorum amissam, redire in gratiam cum populo Romano, satis facere exteris nationibus, possetis; depeculatorem aerari, vexatorem Asiae atque Pamphyliae, praedonem iuris urbani, labem atque perniciem provinciae Siciliae. De quo si vos vere ac religiose iudicaveritis, auctoritas ea, quae in vobis remanere debet, haerebit; sin istius ingentes divitiae iudiciorum religionem veritatemque perfregerint, ego hoc tam adsequar, ut iudicium potius rei publicae, quam aut reus iudicibus, aut accusator reo, defuisse videatur.
L'occasione che era più desiderabile, o giudici, e che più di ogni altra poteva servire a placare l'ostilità nei confronti del vostro ordine e il discredito dell'amministrazione della giustizia, questa sembra esservi offerta non per umana decisione, ma quasi come un dono e una grazia divina, in questo momento critico per lo Stato.
Già da tempo infatti è invalsa questa opinione, dannosa per lo Stato e pericolosa per voi stessi, la quale si è sviluppata nei discorsi di tutti non solo presso di noi, ma anche presso le nazioni estere: e cioè che con l'attuale sistema giudiziario nessun uomo ricco, per quanto colpevole, possa essere condannato.
Ora proprio nel pieno della crisi del vostro ordine e del potere giudiziario, e mentre vi sono alcuni pronti a infiammare questa ostilità contro il senato con pubbliche assemblee e con proposte di legge, viene condotto a processo come imputato Caio Verre, un uomo già condannato nell'opinione di tutti   per la sua vita e le sue azioni, ma che per quanto si aspetta e va dicendo, sarà assolto a motivo della sua grande ricchezza.
Quindi io, con grande consenso e con grande aspettativa del popolo romano, ho assunto il ruolo della pubblica accusa, non per accrescere l'ostilità verso la vostra categoria, ma per porre un rimedio al discredito generale.
Infatti ho portato a processo un uomo, nel quale avrete la possibilità di recuperare la fiducia perduta verso i giudici, di riconquistare il favore del popolo romano, di dare soddisfazione ai popoli stranieri; (un uomo) che è stato dissipatore del denaro pubblico, oppressore dell'Asia e della Panfilia, predone nei processi civili, rovina e flagello per la provincia di Sicilia.
Se voi lo giudicherete con verità e giustizia, quell'autorità che deve risiedere in voi sarà salda, ma se le ingenti ricchezze di costui dovessero infrangere l'onestà e imparzialità dei giudici, io raggiungerò comunque questo scopo: risulterà che è mancato piuttosto un tribunale allo Stato, ma non un imputato ai giudici né un accusatore per l'imputato.
(trad. di G. Mosconi)



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