scuolanostra

Latino classe V

OVIDIO, Metamorfosi Apollo e Dafne (l. I, vv. 525-552)
Plura locuturum timido Peneia cursu
fugit cumque ipso verba inperfecta reliquit.
Tum quoque visa decens: nudabant corpora venti,
obviaque adversas vibrabant flamina vestes,
et levis inpulsos retro dabat aura capillos,
auctaque forma fuga est. Sed enim non sustinet ultra
perdere blanditias iuvenis deus, utque movebat
ipse amor, admisso sequitur vestigia passu.
Ut canis in vacuo leporem cum Gallicus arvo
vidit, et hic praedam pedibus petit, ille salutem:
alter inhaesuro similis iam iamque tenere
sperat et extento stringit vestigia rostro;
alter in ambiguo est, an sit conprensus, et ipsis
morsibus eripitur tangentiaque ora relinquit:
sic deus et virgo, est hic spe celer, illa timore.
Qui tamen insequitur, pennis adiutus amoris
ocior est requiemque negat tergoque fugacis
inminet et crinem sparsus cervicibus adflat.
Viribus absumptis expalluit illa, citaeque
victa labore fugae, spectans Peneidas undas:
"Fer pater" inquit "opem! Si flumina numen habetis,
qua nimium placui, mutando perde figuram!"
Vix praece finita torpor gravis occupat artus,
mollia cingunt tenui praecordia libro,
in frondem crines, in ramos bracchia crescunt;
pes modo tam velox pigris radicibus haeret,
ora cacumen obit: remanet nitor unus in illa.
Hanc quoque Phoebus amat, positaque in stipite dextra
sentit adhuc trepidare novo sub cortice pectus,
complexusque suis ramos, ut membra, lacertis
oscula dat ligno: refugit tamen oscula lignum
La figlia di Peneo sfugge con corsa impaurita ad
Apollo che stava per pronunciare altre parole,
e lo lascia a metà del discorso.
Anche allora era bella a vedersi;
il vento le denudava le membra; i soffi del vento
facevano vibrare le vesti ad essi opposte e
l'aria spingeva indietro i capelli:
la bellezza è aumentata dalla fuga.
Ma il giovane dio non sopporta più
di perdersi in blandizie e come lo spinge Amore,
la insegue con passo incalzante.
Come un cane gallico che scorge in campo
aperto una lepre, e insegue la preda con le zampe,
mentre quella cerca la salvezza; l'uno crede
ormai di averla agguantata e spera di
afferrarla e la stringe da vicino col muso,
mentre l'altra, ancora incerta se sia stata afferrata,
sfugge all'ultimo momento ai morsi e riesce
ad allontanarsi dalla bocca pronta ad azzannarla;
così il dio e la fanciulla; l'uno è veloce
per la speranza, l'altra per il timore.
Tuttavia quello che insegue, aiutato dalle ali
dell'amore, è più veloce, nega riposo, incombe
alle spalle della fuggitiva, ed ansima
sui capelli sparsi sul collo.
Consumate le forze, quella impallidisce
e sopraffatta dalla fatica di una corsa veloce,
guardando le onde del fiume paterno, dice:
"Dammi aiuto, padre mio! Se voi fiumi avete
un qualche potere, distruggi mutandolo
questo mio aspetto, per il quale piacqui troppo!"
Appena è finita la preghiera, un pesante torpore
le invade le membra; il morbido petto
si cinge di tenera corteccia; i capelli crescono
in forma di fronde, le braccia in forma di rami;
il piede prima tanto veloce si ferma entro pigre radici,
la cima confonde il volto; rimane di lei solo la lucentezza
Anche così Apollo la ama, e posta la mano
destra sul tronco, sente ancora battere il cuore
sotto la corteccia; e dopo aver abbracciato i rami,
come se fossero membra, dà baci al legno;
ma il legno rifiuta quei baci.
 
(trad. di G. Mosconi)
 
 
 

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