Scuolanostra
latino classe terza
PLAUTO- AULULARIA
La commedia si apre col prologo del Lare domestico (Lar familiaris) il quale espone l’antefatto: il vecchio e avaro
Euclione ha trovato un tesoro sepolto in casa: una pentola piena d’oro, che era
stata nascosta da un suo antenato. Da allora l’ha nascosta sotto il focolare e
vive nella paura che qualcuno possa rubargliela. In realtà è stato il Lare
stesso a fargli trovare il tesoro, non perchè abbia simpatia per Euclione, ma
perchè mosso a pietà della figlia di questo, Fedria. La ragazza, unica figlia
di Euclione, è buona e devota, ogni giorno offre preghiere, incenso o
ghirlande al Lare; ma per la sua povertà non può sperare di avere la dote che
le consenta un onorato matrimonio, e in più è stata sedotta dal giovane
Liconide, e si trova, ad insaputa di tutti, ad aspettare un bambino. Il Lare
pensa che con il tesoro ritrovato Euclione possa dare una dote alla figlia e
consentirle di sposarsi, ma non ha fatto i conti con l’animo avaro e sospettoso
del vecchio. Questo suo carattere è dimostrato dal successivo dialogo di
Euclione con la serva Stafila, nel quale egli si mostra sospettoso di tutti,
non vuole che nessuno entri in casa per timore che qualcuno trovi e rubi il
tesoro.
Intanto il ricco vicino Megadoro,
non più tanto giovane, viene consigliato dalla sorella Eunomia a decidersi a
prendere moglie e pensa di chiedere ad Euclione la mano della figlia Fedria: è
più giovane sì, ma è povera, è una brava ragazza e Megadoro pensa che lei e il
padre acconsentiranno alle nozze se Megadoro si assumerà tutte le spese. Così
Megadoro chiede ad Euclione la mano di Fedria, il vecchio avaro acconsente a
condizione che non vi sia dote da pagare e che lo sposo si faccia carico di tutte le
spese, ma gli resta il sospetto che lui abbia scoperto qualcosa e che questa
proposta abbia in realtà lo scopo di impadronirsi del tesoro. I sospetti
diventano ancor più maniacali quando Megadoro manda
a casa di Euclione due cuochi per preparare il pranzo di nozze.
Timoroso che qualcuno possa
scoprire il suo segreto, Euclione decide di portare fuori di casa il suo tesoro
e va a nasconderlo presso il tempio della dea Fede. Ma per caso viene visto da
Strobilo, lo scaltro servo di Liconide; Strobilo si impadronisce del tesoro con
l’idea di pagare con esso il riscatto
per la sua libertà. Quando Euclione scopre che la pentola è scomparsa, si
abbandona a scene di disperazione
tragicomica. Intanto Liconide, sentendo i pianti e la
disperazione del
vecchio, si è convinto che egli abbia scoperto la faccenda della sua
relazione con Fedria e del bambino di questa. Angosciato e pentito, si
decide ad andare a
chiedere perdono ad Euclione, dicendosi disposto a sposare Fedria; ma
l’ambiguità del suo parlare inducono Euclione ( che ha sempre un solo
pensiero
fisso, il tesoro perduto) a credere che la colpa di cui Liconide sta
chiedendo
perdono sia quella di aver sottratto la pentola e che quindi sia lui il
ladro.
La situazione è infine risolta dall’astuto Strobilo, il quale promette
a
Liconide di restituire il tesoro ad Euclione in cambio della propria
libertà.
Anche Megadoro acconsente a rinunciare alla propria proposta di
matrimonio
affinchè i due giovani possano unirsi in
matrimonio (considerando anche che Liconide è suo nipote). Si celebrano quindi
le nozze di Fedria e Liconide. Euclione, tutto contento di aver ritrovato il
suo tesoro, si mostra insolitamente generoso donando a Liconide anche l’oro; mentre
l’astuto Strobilo ottiene la sospirata libertà.
Personaggi
In questa commedia le caratteristiche del protagonista, Euclione, sono tutte portate all'estremo: la sua avarizia è
qualcosa di totale ed assoluto, che permea ogni sua frase ed ogni suo pensiero,
ed è pari persino all'affetto per la figlia, come emerge evidentemente nel
dialogo con Liconide.
L'effetto è incredibilmente divertente, e i dialoghi ne sono un chiaro esempio.
Poi c'è Liconide, onesto giovane che
confessa al vecchio la sua azione e gli restituisce l'oro, e così facendo
ottiene in moglie la figlia dell'avaro.
È possibile notare una contrapposizione tra Liconide ed Euclione parlando del
concetto di colpa: Liconide sembra infatti un fautore del peccato confessato,
che viene subito perdonato (“È un dio
che mi ci ha indotto e mi ha attratto verso di lei, È stato il volere degli
dei, senza dubbio: certo, senza la loro volontà, non sarebbe accaduto”), mentre
Euclione sostiene l'esistenza di una qualche forma di responsabilità personale
quando dice, facendo un esempio iperbolico, “Se esiste un diritto che ti
permette di scusare una simile azione, non ci resta che andare a rubare
pubblicamente gioielli alle matrone, in pieno giorno; e se poi dovessimo essere
arrestati ci scuseremmo dicendo che l'abbiamo fatto in istato di ebbrezza, per
amore! Varrebbero troppo poco, il vino e l'amore, se l'ubriaco e l'innamorato
avessero il diritto di soddisfare impunemente i loro capricci. Non mi piacciono
gli individui che si scusano dopo aver fatto del male.”
Un altro personaggio estremo è Strobilo, avido, furbo e mentitore, che
non esita a rubare per arricchirsi e che nega con una faccia di bronzo
stupefacente, sia con Euclione sia con Liconide. Nel dialogo con Liconide, poi,
Strobilo coglie l'occasione per ottenere una ricompensa invece che una
punizione: dicendo che anche sotto tortura non avrebbe mai parlato, fa notare a
Liconide che avrebbe perso un servo e non avrebbe mai ritrovato l'oro, e fa la
controproposta di lasciarlo libero in cambio della restituzione della pentola,
dimostrando appunto la sua astuzia e la sua capacità di parlare e convincere
anche quando è in torto.
Sono questi i personaggi
principali, gli altri sono più che altro un contorno. Alla fine si nota come
Plauto abbia in simpatia i protagonisti; infatti li premia in qualche modo
tutti: Euclione viene umanizzato, non
viene più rappresentato con quell'assurda avarizia, ma anzi diventa generoso;
Liconide ottiene Fedria e la pentola dell'oro; Strobilo acquista la libertà.
Euclione e Strobilo vengono quindi liberati da due grandi mali: l'avarizia (che
per Strobilo è un male “perchè rende insaziabili quelli che ne sono preda,
poveri con tutte le loro ricchezze, assetati in mezzo all'Oceano”) e la
schiavitù (“la schiavitù è peggiore di ogni male, di ogni sventura. E Giove,
quando odia qualcuno, ne fa subito uno schiavo”).
Plauto non si preoccupa della verosimiglianza: i comportamenti di Euclione
appaiono esagerati e caricaturali; invece ci presenta una vicenda simbolica,
che tende a dimostrare la convenienza di certi comportamenti e doti (l'onestà,
il saper parlare...) e la dannosità di altri (l'avarizia, la violenza, il
mentire...), il tutto dimostrato divertendo gli ascoltatori ottenendo così una
maggiore attenzione da parte del pubblico.