Scuolanostra

                                                                                                             italiano classe quinta

SCIASCIA, Leonardo: Il giorno della civetta

(1961- poliziesco-sociale)

L’AUTORE

Saggista e narratore, è nato nel 1921 a Racalmuto (Agrigento); frequentò l’Istituto magistrale a Caltanissetta dove ebbe come professore lo scrittore Vitaliano Brancati. Terminati gli studi, lavorò come impiegato prima, poi come maestro elementare. Maturò in questo periodo un atteggiamento ostile al fascismo e s’interessò alla letteratura straniera. La sua produzione letteraria cominciò dopo la guerra, con le Favole della dittatura (1950), che ebbero una recensione favorevole di Pasolini, e con la raccolta di poesie La Sicilia, il suo cuore (1952). Erano questi solo dei primi tentativi: il successo giunse con il romanzo Le parrocchie di Regalpetra (1956). Sciascia imboccava una strada che lo avrebbe contraddistinto: una narrativa meridionalistica, tutta tesa a ricostruire fedelmente mentalità e modi di vivere della Sicilia, accompagnata da una costante passione civile. Con Gli zii in Sicilia (1958), Sciascia rivisitava un secolo di storia siciliana, rileggendo i grandi avvenimenti, dallo sbarco di Garibaldi a quello degli alleati anglo-americani, alla luce del modo di giudicare della gente della sua terra

La grande fama venne soprattutto con Il giorno della civetta (1961), con il quale Sciascia si avvicinava al genere poliziesco (l’argomento è, infatti, l’indagine su un misterioso delitto) ma soprattutto metteva a tema il fenomeno della mafia scavando nelle radici storiche, morali e politiche di questo male. A questo filone del giallo politico si iscrivono anche altre opere successive, quali A ciascuno il suo (1966), Todo modo (1974) e anche le ultimissime opere come Il cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice (1989).

Nel 1963, con Il consiglio d’Egitto, romanzo ambientato nella Sicilia della fine del Settecento, Sciascia diede vita a un nuovo filone della sua ricca produzione narrativa: quello che si basava su una ricostruzione storica documentata di avvenimenti del passato, arricchendoli però con elementi d’invenzione. Appartengono a questo genere La scomparsa di Majorana (1975) e La strega e il capitano (1985), quest’ultimo ispirato a un processo di stregoneria del Seicento.

Opere più direttamente legate alle vicende politiche della stagione del terrorismo in Italia sono: L’affaire Moro (1978) e Relazione sul caso Moro (1982). Va ricordato anche un diario personale degli anni 1969-1979,  Nero su nero (1979): il titolo voleva essere, come spiega l’autore, una risposta un po’ ironica alle accuse di pessimismo nel guardare e descrivere la realtà. Lo scrittore è scomparso nel 1989.

LA TRAMA

La vicenda narrata nel romanzo è liberamente ispirata ad un fatto di cronaca realmente avvenuto, l’assassinio ad opera della mafia del sindacalista siciliano Accursio Miraglia.

Una mattina, sulla piazza di un piccolo paese della Sicilia, un uomo viene ucciso proprio mentre si accingeva a salire sulla corriera. La vittima è Salvatore Colasberna, un piccolo imprenditore che si era rifiutato di sottostare agli ordini del boss mafioso locale. Il capitano dei carabinieri Bellodi, che viene da Parma ed era stato partigiano, viene incaricato di indagare sul delitto. Il capitano  che crede nella possibilità e nel dovere di combattere la mafia con le armi del diritto; avvia le indagini che incontrano però subito un ambiente difficile, fatto di resistenze ed omertà. Un povero diavolo che era stato testimone del delitto e, interrogato dai carabinieri, aveva suggerito due nomi di uomini della mafia, viene trovato di lì a poco ucciso.

Grazie alla sua tenacia, però, il capitano Bellodi riuscirà pian piano a ricostruire le fila del delitto, risalendo agli autori e allo stesso mandante, Mariano Arena, potente capo della mafia.

Tuttavia la solerzia del capitano non basterà a raccogliere prove e testimonianze sufficienti a far condannare i colpevoli: una fitta rete di complicità, che tocca la politica e la stessa magistratura, li protegge, e l’inchiesta finirà per essere vanificata.

Tornato a Parma per una breve licenza, il capitano Bellodi è tentato dallo sconforto e dalla voglia di abbandonare tutto; ma poi decide di tornare in Sicilia a combattere la mafia, anche a costo di “rompercisi la testa”, perché ormai sente di amare quella terra e quella gente.