Scuolanostra

latino classe V

SENECA, De vita beata (La vita felice)


E' uno dei dieci Dialoghi di Seneca; scritto intorno al 59 d.C. è dedicato al fratello Anneo Novato (Gallione), che fu oratore e senatore e fu anche lui fatto uccidere da Nerone. Il dialogo ci è pervenuto mutilo dell'ultima parte.

L'argomento è quello della felicità , ed è probabile che Seneca volesse qui esporre dal punto di vista dello stoicismo questo importante tema morale , molto sentito e discusso sia dalla scuola di Epicuro che da quella della Stoa.

Secondo la tradizione, e secondo quanto sembra di poter ricavare anche da alcuni passi, Seneca sarebbe stato spinto a scrivere questa opera per difendersi dall'accusa di essersi arricchito con la protezione di Nerone e di vivere circondato da una ricchezza che contrasta con gli ideali di austerità e semplicità di vita dello stoicismo. La risposta di Seneca a queste accuse è volutamente in tono umile, di chi si dimostra disponibile ad accettare le critiche, ma insiste che il filosofo va considerato innanzi tutto per la verità di quello che predica, non per la sua coerenza di vita: "Non parlo di me, ma della virtù, e quando inveisco contro i vizi, prima di tutto inveisco contro i miei" (cap.18)




1. Vivere, Gallio frater, omnes beate volunt, sed ad pervidendum quid sit quod beatam vitam efficiat caligant; adeoque non est facile consequi beatam vitam ut eo quisque ab ea longius recedat quo ad illam concitatius fertur, si via lapsus est; quae ubi in contrarium ducit, ipsa velocitas maioris intervalli causa fit.

Proponendum est itaque primum quid sit quod adpetamus; tunc circumspiciendum qua contendere illo celerrime possimus, intellecturi in ipso itinere, si modo rectum erit, quantum cotidie profligetur quantoque propius ab eo simus ad quod nos cupiditas naturalis inpellit.

2. Quam diu quidem passim vagamur non ducem secuti sed fremitum et clamorem dissonum in diversa vocantium, conteretur vita inter errores, brevis etiam si dies noctesque bonae menti laboremus. Decernatur itaque et quo tendamus et qua, non sine perito aliquo cui explorata sint ea in quae procedimus, quoniam quidem non eadem hic quae in ceteris peregrinationibus condicio est: in illis comprensus aliquis limes et interrogati incolae non patiuntur errare, at hic tritissima quaeque via et celeberrima maxime decipit.

3. Nihil ergo magis praestandum est quam ne pecorum ritu sequamur antecedentium gregem, pergentes non quo eundum est sed quo itur. Atqui nulla res nos maioribus malis inplicat quam quod ad rumorem componimur, optima rati ea quae magno adsensu recepta sunt, quodque exempla <nobis pro> bonis multa sunt nec ad rationem sed ad similitudinem vivimus.

4. Inde ista tanta coacervatio aliorum super alios ruentium. Quod in strage hominum magna evenit, cum ipse se populus premit — nemo ita cadit ut non et alium in se adtrahat, primique exitio sequentibus sunt — hoc in omni vita accidere videas licet. Nemo sibi tantummodo errat, sed alieni erroris et causa et auctor est; nocet enim adplicari antecedentibus et, dum unusquisque mavult credere quam iudicare, numquam de vita iudicatur, semper creditur, versatque nos et praecipitat traditus per manus error. Alienis perimus exemplis: sanabimur, [si] separemur modo a coetu.


Fratello Gallione, tutti vogliono vivere felici, ma a quanto si può constatare non hanno chiaro che cosa sia che renda la vita felice;....











Percò si deve innanzi tutto stabilire quale sia la meta cui vogliamo arrivare, e poi esaminare per quale via possiamo arrivarci più rapidamente; capiremo durante il percorso stesso, se soltanto sarà quello giusto, quanto ogni giorno avanzeremo e quanto saremo più vicini a ciò a cui il nostro desiderio naturale ci spinge.




2. Certo, fintanto che vaghiamo qua e là senza seguire una guida, ma (seguendo)le esortazioni e le grida discordanti di coloro che ci chiamano in direzioni diverse, la nostra vita si consumerà negli errori, resa breve anche se ci affaticheremo giorno e notte con buona volontà.
Decidiamo dunque sia dove vogliamo andare, sia per quale via, non senza una qualche guida a cui siano noti i luoghi nei quali avanziamo, perchè in questo viaggio le condizioni non sono le stesse come negli altri viaggi; in quelli
a ciascuno, dopo aver compreso il percorso e chiesto informazioni agli abitanti, non è possibile sbagliare; in questo  invece, proprio le strade più battute e più note sono le più ingannevoli.

3. Perciò a niente dobbiamo prestare più attenzione, che a non seguire al modo delle pecore il gregge di quelli che ci precedono, andando non dove si dovrebbe andare ma dove  gli altri vanno......

(trad. di G. Mosconi)